Un Supporto alla Terapia

Se fino a poco fa era impostazione diffusa da parte dei medici vietare qualsiasi tipo di trattamento estetico a pazienti che iniziassero le terapie oncologiche, oggi ci sono esperienze che considerano tale supporto un elemento fondamentale del percorso terapeutico, in una presa in carico globale. Ma per trattare il paziente oncologico occorrono conoscenze specifiche e un lavoro in team con il medico oncologo curante. Ogni intervento va studiato e valutato sul paziente – tenendo conto della sua situazione clinica – e per il determinato momento della patologia e della terapia. Un ambito, quello dell’oncologia estetica, nel quale anche farmacie e farmacisti possono avere un ruolo importante e possono colmare lacune del sistema assistenziale. Angela Noviello è il direttore Italia e coordinatore Europa di Oti Oncology Training International-Oncology Esthetics, ente americano di formazione di operatori dell’oncologia estetica, di cui ha importato il metodo di riferimento in Italia. Successivamente è nata la collaborazione con “Salute allo specchio” del San Raffaele di Milano. Ci racconta le problematiche che possono presentare i pazienti oncologici ma anche l’importanza, nella percezione di sé e nel processo di cura, che può derivare dal confronto con i cambiamenti che la patologia e la terapia impongono.

Partiamo dal nodo: per chi è in terapia oncologica è possibile sottoporsi a trattamenti estetici?
Assolutamente sì. Il paziente oncologico può e deve essere trattato, ma va fatto nel pieno rispetto delle condizioni complessive di salute e delle terapie, in modo da dare benessere, senza interferire con la malattia e la cura. Per questo è indispensabile che gli operatori – estetisti, infermieri… – siano formati, qualificati, certificati, possiedano un bagaglio di conoscenze su malattia, terapia, effetti collaterali, interazioni, e lavorino secondo protocolli validati. Ma è anche fondamentale che siano informati sulla situazione clinica, lo stadio delle terapie e della patologia del paziente e che operino in sinergia con i medici. Il trattamento,
Pazienti oncologici, dai trattamenti estetici una presa in carico globale dell’iter di cura. Il metodo Oti in Italia Un supporto alla terapia qualunque esso sia, deve essere avallato dall’oncologo curante. Anche perché va studiato e valutato per quel determinato paziente e momento della patologia e della terapia.

Che problemi possono derivare dai trattamenti estetici?
Per far capire la situazione, posso portare alcuni esempi. Pensiamo alla pelle di chi è sottoposto a chemioterapia che rimane assottigliata, fragile, diventa estremamente sensibile, con una delicatezza simile a quella del neonato. Esistono ingredienti di cosmetici o trattamenti che andrebbero evitati, perché potrebbero infiammarla o irritarla ulteriormente, e occorre prestare una grande attenzione nella scelta del prodotto più adatto, che deve essere semplice. A volte – come per esempio nelle 48 ore successive alla chemioterapia – è addirittura importante escludere qualsiasi altra interferenza per poter identificare con certezza che eventuali reazioni, come rush cutanei, siano attribuibili alla terapia e non ad altri ingredienti. Ma pensiamo anche al complesso capitolo delle infezioni: nel corso delle terapie le difese immunitarie sono molto basse, in particolare in determinati periodi. Soprattutto con trattamenti quali pedicure e manicure occorre fare molta attenzione ed evitarli in alcune fasi. Questo non è legato solo al fatto che, nel momento in cui si scatena un’infezione, la paziente deve sottoporsi a ulteriori cure, magari antibiotiche, ma c’è un aspetto ancora più importante da tenere in considerazione. Se le condizioni di salute non sono ottimali, i pazienti rischiano di non poter essere sottoposti alla seduta della terapia che era stata prevista, di doverla rimandare. E questo, oltre ad avere conseguenze mediche, presenta un forte impatto anche psicologico, perché è chiaro che i pazienti fanno il conto alla rovescia rispetto alle terapie mancanti.

Anche i massaggi richiedono una gestione particolare?
I pazienti hanno spesso valori relativi a piastrine e globuli rossi bassi. Il rischio, in queste situazioni, è che con una manualità troppo intensa si possano generare ecchimosi e, in ogni caso, bisogna far attenzione a non stancare troppo il paziente che potrebbe essere soggetto a stati di debolezza improvvisi o a svenimenti. È importante, allora, relazionarsi con attenzione e farsi dire dai pazienti, che sono sempre sotto controllo e ben informati sullo stato di salute, i valori sanguigni per valutare come meglio procedere. D’altra parte, il massaggio è un momento molto importante, di rilassamento, di contatto con se stessi, e per chi affronta un iter così provante da un punto di vista emotivo e psicologico può essere davvero utile. Sarebbe un peccato rinunciarvi, come era cultura consolidata fino a poco fa.

Finora non è stato così?
Occorre considerare che, almeno per quanto riguarda l’Italia, fino a poco tempo fa, nel momento in cui il paziente iniziava le terapie oncologiche era tendenza da parte dei medici vietare qualsiasi tipo di trattamento estetico e addirittura il massaggio per cinque anni. L’unica operazione consentita era il camouflage. Ora invece ci sono alcune esperienze di ospedali, come il San Raffaele di Milano con il progetto “Salute allo specchio”, con il quale collaboro, che non solo sono a favore dei trattamenti ma li considerano un momento fondamentale del percorso terapeutico. In sostanza, la filosofia alla base è quella di cercare di dare una risposta concreta al disagio oncologico, prendendo in carico il paziente in modo ancora più globale. Per questo a un supporto di natura medico-psicologica ne viene affiancato uno legato al benessere psicofisico, attraverso l’offerta di consigli e suggerimenti pratici per affrontare i cambiamenti e
prendersi cura di sé e del proprio aspetto.

Con il presupposto che la percezione di sé può condizionare l’andamento della cura?
Il problema che si pone ai pazienti oncologici è l’impatto visivo che deriva dagli effetti collaterali delle terapie, con la conseguenza che all’esterno si viene immediatamente riconosciuti come malati e questo passaggio ha un grande peso emotivo e psicologico. Ma è anche una questione di come ci si percepisce: a parte tutti quegli effetti legati alla cura, come rush cutanei, la pelle stessa, a causa delle cure, cambia e quando ci si guarda allo specchio quella che appare è una persona diversa. E poi c’è anche il discorso, per la donna, della sensazione di perdita di femminilità, difficile da gestire. Tutto questo costituisce un bagaglio psicologico che va a incidere su come si affronta la patologia e più in generale sulla qualità della vita. Si tratta di un vissuto che può avere un impatto sul sonno, su stati di ansia, sulla nausea, un impatto, quindi, che si trasferisce alle condizioni complessive di salute.

Un tipo di supporto su cui anche i farmacisti e le farmacie possono essere d’aiuto?
Assolutamente sì. Innanzitutto perché in diverse farmacie può essere già presente un’assistenza dermocosmetica o un’area benessere ed estetica. Ma poi c’è anche una funzione di consiglio, informativa, che il farmacista può svolgere al banco. Ma ancora di più occorre considerare che certi supporti non si riescono a ricevere dall’ospedale o dall’oncologo per una mancanza di tempo e la farmacia potrebbe andare a riempire un vuoto. Un primo elemento che può arrivare dalle farmacie è il consiglio: i pazienti in terapia hanno spesso bisogno di essere orientati anche solo nella scelta di un prodotto più adatto, come nell’alleviare o nel trattare piccoli disturbi legati alle terapie. Ma poi c’è sicuramente anche una funzione di sensibilizzazione: far conoscere al paziente la possibilità di tali trattamenti complementari in modo che ne possano discutere con il medico curante. Occorre fare in modo infatti che il paziente non ricorra al fai da te.

Veniamo alla sua esperienza: da quando si occupa di pazienti oncologici?
Dirigo la divisione di estetica funzionale di Milano Estetica. Questa è stata un’esigenza che ho raccolto direttamente dalle persone in terapia oncologica che desideravo seguire. Tutto ha origine due anni fa, quando ho seguito a Seattle un corso Oti, con qualifica e certificazione. È stato anche sulla base di questa mia formazione che il San Raffaele ha deciso di coinvolgermi nel progetto. Al momento sono due anni che è attiva questa esperienza e adesso abbiamo pensato di dare un seguito e di formare estetiste italiane. Abbiamo importato in Italia il metodo che fa riferimento a Oti Oncology Training International-Oncology Esthetics, l’istituto americano presso il quale ho seguito il percorso di formazione, creando una filiale europea (di cui sono direttore) che organizza corsi per la certificazione internazionale di operatrici dell’estetica oncologica. In un anno abbiamo formato circa un centinaio di operatori, abbiamo fatto cinque corsi – il prossimo sarà a fine gennaio – con l’obiettivo di fornire strumenti per trattare il paziente sia in ospedale ma anche in serenità nei loro centri, in un lavoro che deve essere sempre di team, con l’oncologo di riferimento della paziente e gli psicologi.


Data: 20 Novembre 2015