Gli squali non si ammalano di tumore? Facciamo chiarezza!

Negli anni Novanta si era diffusa la notizia che gli squali non si ammalavano di tumore.  Sulla base di questa convinzione, sono stati commercializzati integratori composti da cartilagine di squalo, con la speranza che potessero curare il cancro. Sono stati fatti vari studi, scientificamente validi, che non hanno evidenziato differenze di tasso di sopravvivenza tra pazienti oncologici che assumevano cartilagine di squalo e coloro che invece non la assumevano.
È possibile che la cartilagine contenga sostanze che interferiscano con la formazione di vasi sanguigni nei tumori, ma queste non sono state testate sugli esseri umani bensì solo sugli animali in laboratorio. Quindi anche gli animali si ammalano di cancro, compresi gli squali (con differenze da specie a specie). Secondo il paradosso di Peto (dal nome dell’epidemiologo, Richard Peto che individuò il fenomeno) l’incidenza del cancro negli animali non è direttamente proporzionale alle loro dimensioni, ad esempio gli elefanti, in proporzione, si ammalano meno rispetto a noi. Ciò sembra essere la conseguenza di meccanismi compensativi acquisiti durante l’evoluzione.  Nei grandi animali i sistemi cellulari di sorveglianza, riparazione e risposta al danno del DNA sono più efficienti. Nello specifico, gli squali sono pesci cartilaginei, ovvero il loro scheletro non è fatto di ossa, bensì di cartilagine ricca di calcio. Una quantità notevole della cartilagine di questi pesci è sprovvista di vasi sanguigni, questa caratteristica ha fatto sì che gli squali diventassero interessanti per coloro che studiano i vari tumori. Infatti quando un tumore maligno inizia a crescere richiede nuovi vasi sanguigni che vadano a irrorare la massa di cellule tumorali che si sta formando (la creazione di nuovi vasi è definiti angiogenesi). Dovendo identificare sostanze anti-angiogeniche, l’attenzione si rivolse alla cartilagine: se nella cartilagine non crescono i vasi sanguigni, in quel tessuto ci deve essere qualche sostanza che lo impedisce.
Nel 1982 Carl Luer, ricercatore in un acquario della Florida, aveva pubblicato i risultati di una ricerca sulla cancerogenesi negli squali. Aveva esposto squali neonati a una sostanza altamente cancerogena, l’aflatossina B1 e i pesci non si erano ammalati. Dopo essere venuto a conoscenza delle ricerche di Luer, nel 1992 I. William Lane, laureato in Scienze della Nutrizione, pubblicò un libro dal titolo “Gli squali non si ammalano di cancro: come la cartilagine di squalo può salvarti la vita”. Nel libro Lane sosteneva che la cartilagine di squalo aveva un effetto antitumorale. Il libro ebbe un grandissimo successo. Lane inoltre sviluppò una tecnica che permetteva di ottenere una polvere di cartilagine finissima e iniziò a vendere pillole contenenti cartilagine di squalo. Milioni di squali sono stati uccisi, sia per rifornire il mercato alimentare dei paesi asiatici, sia per produrre integratori a base di cartilagine venduti a caro prezzo. Per non parlare poi dello squalene, un olio derivato dal fegato di questo animale, ma anche dalle olive, dal grano germinato e altre piante, al quale è stato attribuito (cadendo in errore) un ruolo protettivo nello sviluppo dei tumori.

La smentita degli scienziati non tarda ad arrivare, in quanto non è assolutamente dimostrato che lo squalene, un precursore del colesterolo, abbia una qualche utilità antitumorale. Ci sono esclusivamente studi datati nei quali lo squalene veniva somministrato ai ratti di laboratorio e si evidenziava una riduzione dell’incidenza di neoplasie del colon. Al di là di tali risultati, va sottolineato che non esistono studi sull’uomo che confermino o mostrino alcuna attività antitumorale. Non esiste alcuna prova reale di efficacia nell’essere umano, né di sicurezza nell’assunzione, per cui al momento sarebbe sbagliato raccomandarne l’impiego.
Probabilmente il fatto che la sostanza abbia delle proprietà antiossidanti potrebbe spiegare il perché si tenda a pensare che possa essere in qualche modo protettiva nei confronti dello sviluppo dei tumori.

E’ stato altresì dimostrato che anche gli squali si ammalano di tumore, come riportato in uno studio pubblicato sulla rivista Cancer Research nel 2004 e in qualche caso il tumore ha colpito proprio la cartilagine.

Studi clinici

La cartilagine di squalo è stata valutata in tre studi clinici. Il primo studio, nel 1998, ha coinvolto 60 pazienti con tumore in stadio avanzato: la cartilagine di squalo non ha modificato il decorso della malattia né aumentando la sopravvivenza, né migliorando la qualità di vita dei pazienti. Nel 2005 il Centro Nazionale per la Medicina Complementare e Alternativa statunitense ha presentato i risultati di uno studio condotto con 88 pazienti con tumori del seno e del colon-retto: metà dei pazienti ha ricevuto le cure standard, l’altra metà le stesse cure più la cartilagine di squalo.  Anche in questo caso, la cartilagine di squalo non ha influito sulla sopravvivenza o sulla qualità di vita dei pazienti.

Nel terzo studio, condotto tra il 2007 e il 2010, i ricercatori hanno testato un estratto altamente purificato di cartilagine di squalo in pazienti con tumori del polmone in stadio avanzato che erano in cura con radioterapia e chemioterapia.
La malattia è progredita allo stesso modo nei pazienti che, in aggiunta alle terapie convenzionali, assumevano la cartilagine di squalo e in quelli che assumevano il placebo. Non solo la cartilagine di squalo non funziona, ma non è neppure completamente sicura. Sono stati riportati effetti collaterali come disturbi gastrointestinali, un aumento del calcio e variazioni nella concentrazione di zucchero nel sangue.

In conclusione, l’invulnerabilità degli squali al cancro è un mito: sono stati pescati e catalogati degli esemplari di squalo che avevano un tumore. La cartilagine, non solo di squalo, potrebbe realmente contenere sostanze in grado di ridurre la crescita dei tumori, ma questa linea di ricerca è ancora in fase di sviluppo. Assumere integratori a base di cartilagine di squalo non apporta benefici ed espone al rischio di effetti collaterali.

Elisa Cantarella – OTI Oncology Esthetics Italia con la supervisione di Angela Noviello

Fonte articolo: AIRC e www.repubblica.it


Data: 22 Gennaio 2019

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